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Perché la mia voce non esce?

 

Ma perché la mia voce non esce?

Il Mutismo Selettivo e le sue sfumature

Non è facile riconoscere il Mutismo selettivo: spesso si confonde con timidezza.
I bambini tendono a nascondersi, ad abbassare lo sguardo se un adulto si rivolge loro, soprattutto se è una persona che non incontrano abitualmente o che vedono per la prima volta. Fa parte del tipico comportamento dei bambini piccoli, a cui un genitore, generalmente, attribuisce poca importanza.

Emerge poi, con l’ingresso nella scuola, la difficoltà a esprimersi a parole: il bambino non riesce a fare uscire la propria voce, tende a stare in disparte, non partecipa ai giochi di gruppo, si sente un pesce fuor d’acqua…
Si cerca di forzarlo a parlare, magari con la promessa di premi o di regali. E anche il bambino pensa di potercela fare, dicendo “Sì, mamma, domani ce la farò, dirò ciao alla maestra”.

Un bambino col Mutismo Selettivo, invece, non riesce a parlare. Ha bisogno che questa sua difficoltà venga compresa, senza che senta su di lui la pressione di sentirlo parlare a scuola o con gli estranei.

Il Mutismo Selettivo e la Scuola

Uno dei compiti e obiettivi che ci si aspetta dal comparto scolastico dovrebbe essere quello di fare tutto il possibile per far sentire il bambino rilassato e a suo agio. Il l tempo trascorso a scuola è quello più potenzialmente ansiogeno e ricco di richieste al bambino, legate perlopiù all’aspettativa che il bambino parli e partecipi alle attività proposte. Spesso questo provoca una maggiore concentrazione delle attenzioni e delle pressioni proprio sul bambino con Mutismo Selettivo, attivando un circolo vizioso che aumenta l’ansia e di conseguenza alimenta il disturbo. Soprattutto in classe è importante non forzare il bambino a parlare ma piuttosto favorire la relazione con i compagni, stimolare la comunicazione non-verbale attraverso attività non necessariamente verbali che stimolino la socializzazione. Tutto questo aumenta la comunicazione generale e fa sentire il bambino più sicuro di se stesso, al contrario della rigida aspettativa di linguaggio parlato. L'insegnante dovrebbe lavorare con i genitori per aiutarli ad alleviare quanto più possibile l'ansia, dovrebbe inoltre cercare di conoscere il bambino in modo assolutamente discreto e con disponibilità. In questo modo, molti bambini progrediscono più facilmente. Sorridergli, fare cenni, sedergli vicino, parlargli dolcemente, incontrarlo prima dell’inizio delle lezioni in modo che non si senta oppresso in presenza di troppe persone. Utile è lasciare che il bambino osservi mentre l'insegnante conversa con la madre indirizzando la conversazione verso il bambino quando questi appare più a suo agio, coinvolgendolo nella conversazione senza aspettarsi che parli per non creare ansia. I bambini non vogliono sentirsi come se stessero deludendo l'insegnante. Insegnanti, genitori, professionisti qualificati devono concordare insieme obiettivi e modalità e portarli avanti con pazienza e gradualità, ognuno per il suo ruolo per aiutare un bambino a superare il disturbo. I genitori e i terapisti devono collaborare dunque su interventi per ridurre l'ansia, così come devono essere supportati e aiutati a riconoscere e affrontare le proprie ansie. Non esiste una cura miracolosa, tuttavia un lavoro cooperativo a scuola e in altri contesti sociali permettono al bambino di emergere gradualmente dal proprio stato d'ansia e di far fronte alle varie situazioni.

Come riconoscerlo

  1. Il bambino non riesce a parlare in determinate situazioni pubbliche dove di norma sarebbe chiamato a interagire (per esempio a scuola), scoglio che tuttavia va regolarmente a sparire in altri tipi di contesto e situazione (per esempio a casa).
  2. Il disturbo interferisce in modo consistente con la qualità dei risultati raggiunti in classe e/o in altre occupazioni svolte, creando percepibili blocchi nell’ambito della quotidiana comunicazione sociale.
  3. Il problema si manifesta da almeno un mese (la questione non riguarda naturalmente situazioni particolari e comprensibili come le prime settimane di lezione o l’inizio di una nuova attività di gruppo).
  4. Non c’è dubbio sul fatto che il bambino non parli perché semplicemente sa maneggiare ancora pochi vocaboli o perché manca magari di argomenti da esporre.
  5. È appurato che il bambino non è affetto da preesistenti difficoltà legate alla sfera comunicativa (per esempio la balbuzie) né da disturbi psichiatrici, come la schizofrenia o il ritardo mentale.

La diagnosi

L’importanza della diagnosi differenziale è cruciale. Spesso questi bambini vengono “semplicemente” considerati timidi o addirittura autistici e ciò oltre a impedire l’impostazione di interventi corretti e precoci, non favorisce una conoscenza realistica dell’incidenza del mutismo selettivo. Le statistiche infatti oscillano da 0.08% a 0.1%, il che potrebbe far pensare ad una sottostima dell’incidenza, dovuta probabilmente anche all’eterogeneità dei metodi utilizzati nelle ricerche e/o alla non rappresentatività dei campioni scelti e alla difficoltà per i familiari di riconoscere i sintomi. Sebbene una percentuale di bambini selettivamente muti apparentemente superi il mutismo senza interventi particolari, alcuni casi indicano che questi individui continuano a soffrire di altre manifestazioni di ansia.